MACELLO

di Pietro Babina/Giovanni Brunetto

Drammaturgia:
Pietro Babina Jonny Costantino
Regia:  Pietro Babina
Immagini:  Giovanni Brunetto

In scena:
Pietro Babina (voce e suono)
Giovanni Brunetto (immagini)

Produzione:
Mesmer


Debutto:
9 Marzo 2019 ore 20,30 – LabOratorio di San Filippo, via manzoni 5, Bologna. A cura di Mismoanda


cartolina macello fronte

Questo lavoro prende ispirazione dalla collezione di poesie omonima del poeta Ivano Ferrari, pubblicata da Einaudi nel 2004 e che in questa occasione verrà ristampata.

Ferrari ha lavorato per anni in giovane età nel macello comunale di Mantova e durante questo periodo ha tratto ispirazione da quel contesto. Il risultato è una poesia che ribalta radicalmente l’idea cristallizzata di “poetico”, mostrando come la pratica della poesia possa attraversare anche luoghi e immaginari terrificanti come quello del continuo prodursi di morte violenta e di come questo possa divenire, potenziale e potente paesaggio di riferimento per un poeta.

La mia scelta iniziale, di lavorare su questo materiale, si iscriveva in un percorso sulla memoria dei campi di sterminio nazisti e sull’eterna domanda, di come degli uomini, a noi in tutto simili, abbiano potuto compiere una tale mostruosità. Leggendo Macello ho immediatamente ravvisato, non solo un’analogia nella produzione meccanica di morte, ma ancora più inquietante, la sensazione che questi luoghi, nel cuore delle nostre città, siano luoghi in cui si mantiene ardente, come brace sotto le ceneri, un’attitudine allo sterminio, che siano luoghi in cui il concetto di sterminio persiste come possibile normalità e che le nostre società, sono organismi al cui interno, pulsa anche questo: uno sterminio continuo al momento rivolto verso il diverso in quanto animale (cosa a mio parere non meno grave), e che potrebbe da un momento all’atro mutare il suo soggetto di riferimento. Nel procedere in questo viaggio, ho sviluppato sempre più fortemente un’attenzione verso come la crudeltà e la sofferenza riservata agli animali, sia in tutto identica a quella riservata agli umani discriminati. Tutto passa attraverso un pregiudizio più o meno raffinato, ma fortemente radicato nella nostra (in quanto homini sapiens) specie. La presunzione di essere detentori di alcune caratteristiche metafisiche che ci consentono di prevalere anche crudelmente su altri esseri viventi una volta classificati di specie diversa (ovviamente inferiore). Questo meccanismo pregiudiziale non è mai sopito, a volte più circoscritto o ammansito, ma sempre pronto al risveglio quando il pregiudizio lo richiama  ridefinendone la cornice. Come alcuni dicono, non vi saranno mai diritti universali, se non verranno in essi compresi anche quelli di tutti gli esseri viventi che ci circondano che vivono assieme a noi su questo pianeta.

Questa “azione poetica” non è un reading di poesie, ma qualcosa di più articolato, qualcosa di più simile ad un concerto per voce sola (anche simbolicamente), una voce che tenta di restituire in modo assolutamente non documentaristico, quel magma ribollente, , infernale, scabroso e nascosto, che sgorga dalla pratica quotidiana della macellazione. La voce ha un accompagnamento visivo fatto di materiali concreti e incongrui, prodotti con mezzi analogici.